L’umidità del biofiltro è sicuramente uno degli aspetti più importanti da considerare, insieme alla temperatura. In poche parole, basta ricordare che un biofiltro poco umido, o peggio, addirittura secco, è completamente inutile. Cerchiamo di capire come mai.
Perché è importante mantenere un biofiltro umido?

I batteri che degradano le sostanze inquinanti all’interno del biofiltro funzionano solo se vengono garantiti livelli elevati di umidità. L’acqua, infatti, crea le condizioni ideali perchè sulla struttura vegetale del biofiltro si formi un biofilm. Il biofilm è una specie di pellicola, uno strato di microrganismi contenuti in una matrice, adesa alla superficie del materiale filtrante. Quando i gas inquinanti attraversano il biofiltro, non fanno altro che venire a contatto con questo biofilm, e quindi con i batteri che li degradano. Dunque sono proprio i gas maleodoranti, carichi di umidità, ad alimentare i batteri ed a creare le condizioni ideali per la loro sopravvivenza. Se, per esempio, venisse insufflata aria calda e secca all’interno del biofiltro, questa eliminerebbe rapidamente il biofilm, producendo la fuoriuscita delle sostanze non degradate.

Cosa faccio per garantire umidità?
Sono due le azioni da svolgere, essenzialmente su due componenti distinti, cioè l’aria e il materiale filtrante:
- garantire che l’aria in ingresso al biofiltro sia caratterizzata da un’umidità relativa superiore al 95%. Tale valore è spesso raggiunto attraverso l’utilizzo, a monte del biofiltro, di uno (o più) scrubber, che oltre a svolgere questo compito, risulta funzionale anche per altri scopi (vedi qui).
- Irrigare il biofiltro quotidianamente, possibilmente con un’irrigazione a getto. Tale azione ha un duplice scopo: da una parte, permette di bagnare in modo uniforme tutta la superficie filtrante, raggiungendo anche “punti critici” (tipicamente, bordi e spigoli). Dall’altra, l’irrigazione permette di “lavare” completamente il biofiltro, liberandolo da sostanze che, col tempo, possono formarsi o depositarsi su di esso (come polveri, insetti di grandi dimensioni e simili).

Quanta acqua serve per lo scrubber?

L’acqua necessaria al funzionamento dello scrubber dipende ovviamente dalle portate d’aria da trattare, ma soprattutto dal grado di umidità relativa iniziale. L’idea, infatti, è che l’aria in uscita dallo scrubber raggiunga un’umidità relativa almeno del 95%, ma all’ingresso dello scrubber l’aria potrebbe essere molto variabile. Infatti, alcuni impianti aspirano l’aria da locali che sono già di per sé abbastanza umidi, come impianti di compostaggio o pozzetti di sollevamento fognari. In questi casi, il quantitativo di acqua richiesta nello scrubber risulta abbastanza contenuto. Al contrario, impianti che lavorano in ambienti secchi possono aver bisogno di scrubber da migliaia di litri d’acqua all’ora, anche a parità di portata d’aria. Ciò chiaramente si traduce in una maggiore spesa sia in termini di approvvigionamento idrico che di corrente elettrica. In questo senso, non esiste una ricetta generica valida per tutti.
Misurazione dell’umidità relativa
L’umidità relativa dell’aria viene misurata attraverso una comune sonda igrometrica. Tale sonda viene inserita nel bocchello delle tubazioni a monte del biofiltro, dopo lo scrubber. In caso di campagne di misura dell’efficienza del biofiltro, l’umidità relativa si misura inserendo la sonda nella cappa statica montata sulla superficie del biofiltro. In entrambi i casi, l’umidità relativa deve risultare maggiore del 95%.
Quanta acqua serve per l’irrigazione?
Per quanto riguarda il letto filtrante, studi, esperimenti ed esperienza conducono ad una stima di circa 50 l/giorno per metro cubo. Tale valore tuttavia è puramente indicativo e può cambiare a seconda delle condizioni di esercizio del biofiltro. Va ricordato che l’acqua con cui irrigare il biofiltro dovrebbe essere il più possibile neutra e pulita. In alcuni casi, come all’inizio dell’installazione del biofiltro, è possibile ricircolare l’acqua di raccolta, il cosiddetto percolato. Ciò favorisce l’attecchimento di colonie batteriche, ma questa procedura diventa difficoltosa e spesso dannosa col passare del tempo.
Letto filtrante: umidità o contenuto idrico?
Tante linee guida, parlando genericamente di acqua contenuta nel letto filtrante, generano confusione perchè non specificano se, per il materiale vegetale, si debba considerare l’umidità o il contenuto idrico. i due termini, infatti, non sono sinonimi: quando in laboratorio, attraverso il metodo gravimetrico, si calcola la differenza tra peso umido e anidro, si può dividere questa differenza per il peso umido (ottenendo il contenuto idrico, M) o il peso anidro (ottenendo l’umidità del legno, u). Ne consegue che l’umidità nel materiale vegetale può superare anche il 100%.

Quando il soggetto in questione è il letto filtrante e si parla di acqua, ci si riferisce al contenuto idrico, come stabilito dalla norma tedesca “VDI 3477 Biofilter”, che definisce anche il valore ottimale:
“il contenuto idrico del materiale biofiltrante deve ricadere entro il range del 40÷60%, per garantire le condizioni ideali di esercizio“.

Infatti, valori minori portano ad un materiale biofiltrante troppo asciutto che diminuisce la propria efficienza (per una ridotta presenza di batteri). Soprattutto, in un biofiltro asciutto aumenta il rischio di “correnti preferenziali” (vedi l’articolo sulla velocità dell’aria), cioè flussi d’aria che scorrono indisturbati in vere e proprie fughe all’interno del biofiltro. Ciò riduce il tempo di residenza del gas, quindi permette la fuoriuscita di sostanze inquinanti. Al contrario, se il biofiltro è troppo umido, viene sottratto spazio (volume) all’ossigeno, col rischio di creare zone anossiche (cioè, povere di ossigeno). Inoltre, aumentano anche le perdite di carico dei ventilatori, che faticano maggiormente ad insufflare aria nel biofiltro. Di conseguenza, per mantenere la portata costante, deve essere aumentata la potenza dei ventilatori, quindi i consumi elettrici aumentano.
Misurazione del contenuto idrico

La misura del contenuto idrico del materiale vegetale può avvenire in due modi. Il primo, preciso ma non pratico su un biofiltro, è il metodo gravimetrico, quindi un essiccamento in stufa con successiva pesata per verificare la perdita di acqua rispetto al peso iniziale. Il secondo, invece, più pratico ma grossolano, avviene mediante apposite sonde inserite direttamente nel mezzo filtrante, che sfruttano la variazione di conducibilità elettrica, proporzionale al contenuto d’acqua, misurabile attraverso elettrodi metallici.
In sintesi

- Irrigare il biofiltro è condizione necessaria ma non sufficiente per farlo funzionare.
- L’aria ricca di inquinanti e sostanze odorigene deve avere un contenuto di umidità relativa almeno pari al 95%.
- Il fabbisogno d’acqua di un biofiltro dipende dalle sue carateeristiche, ma indicativamente si possono considerare circa 50 l/mc.
L’umidità relativa dell’aria introdotta deve essere maggiore del 95%, mentre il contenuto idrico del materiale filtrante deve essere compreso tra il 40% e il 60% (fonte: VDI 3477: Biofilters).
In due modi: immettendo l’aria ricca di inquinanti in condizioni di quasi-saturazione (U.R. del 95%), e bagnando il biofiltro attraverso un sistema di irrigazione, a getto (preferibile) o a goccia.
Indicativamente si possono considerare dai 40 ai 60 litri al giorno per metro cubo di biofiltro, ma tali valori possono variare in funzione dell’altezza del biofiltro, del materiale, del clima. Per lo scrubber invece non è possibile fornire un’indicazione a priori.