(Nicola Zirado, Silvia Rivilli, LOD srl, Riccardo Snidar, Labiotest srl)
Il compostaggio ed il trattamento biologico dei rifiuti urbani hanno registrato in Italia un veloce sviluppo, a seguito delle strategie delineate dal D. Lgs 22/97, in un’ottica di raccolta differenziata intesa al recupero di materia, incluso il compostaggio degli scarti organici. Il problema delle emissioni odorose è strutturale negli impianti di compostaggio, come in tutti quelli che gestiscono e trasformano grandi masse di sostanza organica. I processi di decomposizione, o di semplice dispersione dei composti più volatili, sono di per sé potenzialmente vettori di stimoli olfattivi.
Se gli impianti di compostaggio sono adeguatamente progettati e gestiti e prevedono una corretta depressione dei locali di lavorazione con aspirazione e trattamento delle arie esauste, le emissioni odorigene si manifestano a valle del presidio di abbattimento. Generalmente per il trattamento delle emissioni sono previsti, quali presidi di abbattimento, biofiltri e scrubber. Le normative regionali hanno standardizzato dei metodi di verifica delle emissioni odorigene (olfattometria dinamica, monitoraggi olfattivi in aria ambiente) a valle di tali presidi, che al giorno d’oggi sono realtà consolidate dal punto di vista tecnico (norma UNI EN 13725:2004). In Italia mancano, invece, riferimenti normativi cogenti sui livelli accettabili di emissione di odore o di disagio olfattivo, tranne che per il DM 29 gennaio 2007, Linee Guida MTD per gli impianti di trattamento meccanico – biologico soggetti ad AIA. Tale DM riporta che i presidi ambientali di abbattimento (biofiltri o scrubber) posti a trattamento delle emissioni aeriformi originate da questi impianti hanno un valore limite di emissione pari a 300 ouE/m3.
Limiti regionali delle emissioni odorigene
Alcune regioni italiane fissano dei limiti delle emissioni odorigene dopo il trattamento degli effluenti aeriformi in uscita dagli impianti di compostaggio, nel dettaglio:
- Regione Lombardia
- Deliberazione Giunta Regionale 16 aprile 2003 n. 7/12764 “linee guida relative alla costruzione e all’esercizio degli impianti di produzione di compost”
- Regione Campania
- Linee Guida per la progettazione, la costruzione e la gestione degli impianti di compostaggio e stabilizzazione
- Regione Abbruzzo
- DGR 400 del 26.05.2004
- Regione Basilicata
- Delibera Giunta Regionale del 22 aprile 2002 “Linee Guida per la progettazione, la costruzione e la gestione degli impianti di compostaggio e di biostabilizzazione” n. 709
- Regione Sicilia
- BUR n. 27 Parte I del 14 giugno 2002 “Linee Guida per la progettazione, la costruzione e la gestione degli impianti di compostaggio e di biostabilizzazione”
stabiliscono che:
il valore limite per la concentrazione di odore in 300 ouE/m3 dopo il trattamento degli effluenti aeriformi e prescrivono che la valutazione degli odori deve essere effettuata secondo olfattometria dinamica.
In aggiunta a questi si segnala l’intervallo di concentrazione di odore indicato nel documento “Conclusioni sulle migliori tecniche disponibili (BAT – BEST AVAILABLE TECHNIQUES) per il trattamento dei rifiuti” pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, pari a 200-1000 ouE/m3 per tutti i trattamenti biologici dei rifiuti.
- Regione Veneto
Invece, la Deliberazione della Giunta Regionale del 25 febbraio 2005, n°568 “Norme tecniche ed indirizzi operativi per la realizzazione e la conduzione degli impianti di recupero e di trattamento delle frazioni organiche dei rifiuti urbani ed altre matrici organiche mediante compostaggio, biostabilizzazione e digestione anaerobica”:
disciplina:
la realizzazione e la conduzione operativa degli impianti di recupero e trattamento. Afferma che “I limiti per le emissioni devono fare riferimento a quelli indicati dalla normativa per analoghe attività, fermo restando che al di fuori dei confini dell’impianto deve essere contenuta al massimo la molestia o il disagio provocati dalle attività. In merito alla determinazione analitica degli odori… si farà uso dell’olfattometria dinamica per la quantificazione delle sorgenti definite, puntuali (condotte e camini) o areali (biofiltri, cumuli, ecc.), secondo i criteri indicati dalla norma EN 13725. La stima delle immissioni nell’ambiente deve prevedere l’adozione di un idoneo modello matematico di dispersione, utilizzando come dati di input i valori di emissione determinati con l’olfattometria dinamica ed un congruo e valicato database di informazioni meteorologiche”.
- Regione Emilia Romagna
Infine la regione Emilia Romagna si avvale dei criteri generali individuati dal Direttore Generale all’Ambiente (atto n. 4606 del giugno 1999), che riportano le principali tecnologie per l’abbattimento degli odori e le caratteristiche di ventilazione del compost.
- Stati UE
Negli altri stati europei, permane la tendenza di definire dei limiti emissivi da applicare agli impianti di compostaggio. Questo perché:
- sono impianti caratterizzati da emissioni generalmente non tossiche ma responsabili di un fastidio dal punto di vista olfattivo e possono causare lamentele nella popolazione che vive nelle vicinanze;
- usano una tecnologia relativamente semplice, che non varia molto da un impianto all’altro.
Così, grazie ai dati accumulati nei monitoraggi condotti in passato in altri impianti, è ragionevolmente possibile predire la configurazione impiantistica al fine di garantire che un nuovo impianto possa soddisfare un limite emissivo stabilito. In questo ambito possiamo individuare come riferimento la norma S 2205 -1 dell’Austria (ONORM S 2205 – 1, 1997), che fissa un limite pari a 300 ouE/m3 in uscita dai presidi (nello specifico recita: “In uscita da un impianto recintato o da un impianto chiuso, le emissioni di odore non dovrebbero superare una concentrazione di 300 ouE/m3 (zone di uscita dell’aria proveniente dai processi, depositi, biofiltri …)”).
Misure gestionali – manutentive
Il limite di funzionamento del biofiltro è legato al progressivo consumo del materiale organico per ossidazione. Il consumo del letto porta alla progressiva perdita della sua originaria porosità e ad un suo inevitabile intasamento, con aumento delle perdite di carico.
Le verifiche e le manutenzioni periodiche degli impianti prevedono:
- controllo giornaliero di temperatura e umidità;
- controllo mensile delle perdite di carico;
- controllo semestrale della consistenza, altezza e consumo del letto filtrante;
- controllo semestrale del pH e sua eventuale correzione;
- analisi semestrale dell’efficacia di abbattimento degli inquinanti nel refluo trattato;
- rivoltamento semestrale ed eventuale aggiunta del letto filtrante, ai fini di ripristinare le condizioni corrette di resistenza al flusso d’aria;
- sostituzione periodica del letto filtrante (2-5 anni) a seconda del grado di usura meccanica e impoverimento microbiologico del materiale.

Temperatura Biofiltro
L’attività della popolazione microbica abitante il biofiltro è facilmente monitorabile controllando la temperatura del substrato. La maggior parte dei filtri a biossidazione opera a temperature comprese fra i 20°C ed i 40 °C. Temperature prossime ai 40°C possono da un lato garantire un biofiltro più attivo e richiedere un tempo di trattamento più breve, dall’altro possono causare una diminuzione dell’efficienza di abbattimento perché provocano la morte dei microrganismi. Al contrario, temperature inferiori a quelle ottimali possono ridurre la velocità metabolica delle reazioni. Per evitare questi problemi ed equilibrare la temperatura di esercizio è necessario spesso condizionare le emissioni da trattare tramite raffreddamento o insufflazioni di vapore oppure attraverso bagnatura diretta del letto.
Spesso, il flusso d’aria esausta da trattare è ricco di particolato, grassi e polveri: in questa circostanza è necessario prefiltrare il gas per evitare che le particelle ostruiscano i pori del biofiltro e causino un incremento eccessivo della differenza di pressione all’interno del letto.
Umidità del Biofiltro
L’umidità è in genere il parametro che condiziona maggiormente l’efficienza di un biofiltro, perché i microrganismi richiedono percentuali d’acqua adeguate al loro metabolismo e per la loro sopravvivenza. Inoltre, condizioni di scarsa umidità possono portare alla formazione di zone secche e fessurate all’interno del substrato, cosa che provoca la formazione di vie preferenziali dell’aria da trattare. Un elevato tasso di umidità, invece, è responsabile di elevate contropressioni e di problemi di trasferimento di ossigeno ai microrganismi, oltre ad un eccessivo impaccamento dello stesso.
Carico specifico Biofiltro
Parametro di particolare importanza è il carico specifico, inteso come la quantità d’aria da trattare nell’unità di tempo per unità di superficie (o di volume). Esso si misura in m3/h per m3 ed è collegato al tempo di ritenzione medio del fluido gassoso all’interno del letto. È stimato mediante l’equazione:
dove Tr(s) è il tempo di ritenzione e Cs il carico specifico.
La maggior efficienza di rimozione è stata calcolata in corrispondenza di un carico volumetrico compreso nell’intervallo tra i 50 e i 200 m3/h per m3.
Tempo di ritenzione del Biofiltro
Anche il tempo di ritenzione (o Tempo di Contatto) è un parametro fondamentale per la corretta progettazione. La DGR Lombardia prescrive un tempo di contatto non inferiore a 45 secondi, valore che viene desunto dalla formula riportata sopra quando il Carico specifico (Cs) è pari a 80, come indicato dalla DGR stessa.
Dal punto di vista biologico, invece, un fattore estremamente importante per la sopravvivenza delle popolazioni microbiche è il pH del mezzo in cui si trovano. Per favorire l’attività di decomposizione, è bene mantenere un pH vicino alla neutralità. Composti acidificanti come l’acido solfidrico, il cloruro di metile o l’ammoniaca comportano la formazione di acidi (solforico, cloridrico e nitrico) che abbassano notevolmente il pH. Per questo motivo, è bene sostituire periodicamente il mezzo filtrante, anche parzialmente. In alternativa si utilizzano sistemi di pretrattamento ad umido a uno o più stadi.
Noto che i biofiltri utilizzano degli organismi viventi, è bene ricordare che bisogna provvedere periodicamente al loro nutrimento. Soprattutto nella fase di avvio del biofiltro, può essere opportuno ricorrere a prodotti biologici e nutrienti per facilitare l’attivazione dei batteri.

Inoltre, il biofiltro deve essere utilizzato in modo pressoché continuativo, cercando cioè di evitare che i microrganismi muoiano per mancanza dell’apporto degli inquinanti.
In sintesi, i materiali filtranti devono essere in grado di fornire un ambiente microbico ottimale, un’ampia superficie specifica, integrità strutturale costante nel tempo, elevata umidità e porosità, bassa densità volumetrica.

Parametri fisici significativi
Sulla base di una pubblicazione realizzata nell’ambito del LOD srl (“Analisi statistica per la determinazione della relazione tra parametri fisici dell’effluente ed efficienza di abbattimento dei biofiltri” – Ecomondo 2010. Atti dei Convegni (Rimini, 3-6 novembre 2010)), abbiamo analizzato statisticamente mediante regressione polinomiale i risultati ottenuti nell’arco di campionamenti periodici su biofiltri (53 serie di misurazioni significative relative a concentrazione di odore monte / valle presidio, temperatura, umidità e velocità dell’effluente a valle del biofiltro). Abbiamo così desunto che il corretto funzionamento di questi presidi ambientali di abbattimento è correlabile ai corretti parametri fisici gestionali degli stessi.



Stabilito il tipo ed il grado di regressione da applicare ad ogni singola variabile fisica, si è ricavata la retta di regressione polinomiale comprendente tutti i regressori in gioco. Si conclude pertanto che l’equazione che rappresenta al meglio l’efficienza correlata ai parametri fisici del biofiltro è rappresentata da una polinomiale di quarto grado. I risultati di questo studio statistico dimostrano che è possibile migliorare l’efficienza di rimozione degli odori attraverso la corretta gestione dei parametri critici dell’effluente in uscita dai biofiltri.
Ciascuno dei fattori considerati sembra influire positivamente sull’efficienza del presidio ambientale e le indicazioni tecnico normative sono ampiamente confermate.
Il grafico che segue riassume le percentuali di incidenza dei tre parametri fisici analizzati sul rendimento globale dei biofiltri:

Il modello, così elaborato, fornisce veridicità alle direttive presenti nei testi tecnici e può essere convenientemente utilizzato in sede di progettazione dell’impianto e di monitoraggio periodico. La disponibilità di intervalli precisi a cui fare riferimento in fase di gestione, infatti, è un utile strumento ad uso degli operatori del settore.
Alla luce dei risultati sopra esposti, è lecito affermare che la gestione dei biofiltri è delicata, in quanto necessitano di costanti “attenzioni” affinché le prestazioni ambientali permangano elevate nel tempo, come riportato nella figura seguente. Infatti, il grafico riporta in ordinata l’efficienza di abbattimento ed in ascissa il costo di gestione per metro cubo di effluente trattato ed illustra cosa accade nella gestione dei presidi ambientali di abbattimento, cercando di delimitare delle zone:
- Quella di eccellenza, rappresentata dal tratto al di sopra di B, dove aumenta notevolmente il costo di gestione per poter garantire delle efficienze di abbattimento ottimali;
- Quella data dal margine della gestione (tratto A – B), che assicura una buona efficienza senza un eccessivo consumo di risorse. In questo tratto dovrebbero collocarsi la maggior parte degli impianti di abbattimento, correttamente gestiti;
- Quella definita dal “limite di tabella”, che indica cioè il tratto con il minor investimento possibile in modo tale da massimizzare l’efficienza (tratto al di sotto di A).
Questa zona è “potenzialmente pericolosa”, in funzione degli impianti di abbattimento con cui ci si trova ad operare. Il tratto AD, ad esempio, indica un presidio ambientale “chimico/fisico” dove l’efficienza di abbattimento dipende direttamente dall’investimento, ma, in caso di un crollo drastico dell’efficienza dovuta ad una diminuzione notevole degli investimenti, è possibile facilmente correre ai ripari (ad esempio in uno scrubber, sostituendo i corpi di riempimento). Il tratto AD’ rappresenta invece un presidio ambientale biologico, dove l’efficienza dipende dagli investimenti effettuati. In questo caso, al superamento di un certo limite, il sistema di abbattimento diventa ingestibile, per cui si deve solamente provvedere alla sua sostituzione, con costi rilevanti.
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